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  • Writer's pictureAlessandro Rinaldi

episodio 3 - sista


👇👇 Leggi la trascrizione dell'episodio👇👇


All’inizio di questa storia c’è una piccola parrucchieria in un edificio fatto di mattoni di un solo piano nel villaggio di Bundung, in Gambia. È qui, tra corn row ed extension, nel ronzio di un ventilatore che fa del suo meglio per cercare di smuovere l’aria calda e consumata, che lavorano Lisa e Lena.

Bundung è uno dei numerosi villaggi che sono cresciuti scompostamente fino a fondersi in una grande e caotica conurbazione che dà vita alla città di Serekunda, la più grande del paese, affacciata sulla costa dell’oceano Atlantico.

Le due ragazze sono amiche sin da quando era piccole e da allora sono sempre rimaste inseparabili.

Lena, più grande di due anni, si è sposata ed ha avuto un figlio, mentre Lisa ha continuato a studiare. Ma Lena è stata lasciata dal marito quando il bambino aveva solo sei mesi e le due sono andate a vivere insieme.

Al termine della scuola, Lisa ha cominciato ad aiutare Lena al negozio, imparando il mestiere.

Sono una coppia ben affiatata Lisa e Lena. Nonostante sia la più piccola, Lisa tra le due è quella che risolve i problemi, quella a cui Lena si rivolge tutte le volte che il mondo le appare troppo complicato da decifrare.

Ogni sera, le due amiche, quando chiudono la porta del negozio, condividono altre due passioni, il teatro e la politica. In realtà è stata Lisa a coinvolgere Lena in entrambe. Da alcuni anni si esibisce con una compagnia teatrale piuttosto conosciuta in città e, dopo che sono andate a vivere insieme, ha portato qualche volta l’amica alle prove, fino a quando Lena non ha deciso di cominciare a recitare.

Lisa è anche appassionata di politica. Il padre è un membro del partito democratico unito, l’UDP, che rappresenta l’opposizione al partito del presidente Yahaya Jammeh, che dal 94, con un golpe, ha assunto il controllo del paese, pur senza spargimenti di sangue. Il padre le racconta spesso quanto sia diventato violento e corrotto il regime di Jammeh e le dice che fare politica è importante, perché è l’unico modo per contrastare il presidente e portare la democrazia in Gambia. Lisa, adolescente, si innamora della causa, è sempre più convinta che spetti ai giovani costruire un movimento politico alternativo a Jammeh e entra nelle fila dei gruppi giovanili dell’UDP. Portandosi dietro Lena.

Siamo alla vigilia delle elezioni del 2016 e il regime di Jammeh si è fatto ancora più autoritario. Sparizioni di dissidenti, omicidi politici, detenzioni illegali aumentano ogni giorno e secondo Human Rights Watch il presidente si serve di squadre violente che catturano e terrorizzano i dissidenti. Tenetelo a mente perché tra poco toccherà alle protagoniste di questa storia.

Quella domenica, dopo la fine dello spettacolo che la loro compagnia ha tenuto in uno degli stadi della zona, le due ragazze, una loro amica di nome Sara e altri teatranti stanno andando a una riunione del partito. Capita che si riuniscano quasi ogni fine settimana. Immerse nelle chiacchiere spensierate di ragazze di una domenica mattina, non si accorgono delle tre auto che le seguono fino a quando una di queste improvvisamente le supera e blocca la strada. Uomini dal volto incappucciato le afferrano con forza e le fanno salire a bordo. Da quello che Lena riesce a vedere in quei concitati momenti anche gli altri del gruppo vengono costretti a salire sulle auto.

Il loro mezzo riparte a tutta velocità, le ragazze vengono spinte con la testa contro i sedili, non si rendono ancora conto di cosa stia succedendo.

Quando la macchina si ferma Lisa viene spinta fuori e frana a terra. Le altre vetture non sono lì. Ci sono soltanto lei, Lena e Sara.

Vengono spinte bruscamente oltre una porta di un edificio isolato con le inferriate alle finestre e chiuse una cella con soltanto una piccola feritoia che dà sul mare.

Nessuno ha dato loro una spiegazione ma Lisa sa perché sono lì. Ogni giorno entrano uomini, anche 5 al giorno, racconta Lisa, che le costringono ad avere rapporti sessuali. All’inizio le tre giovani provano a resistere, si ribellano, urlano e mordono ma ogni volta vengono picchiate fino a quando sono incapaci di opporsi.

I giorni passano, e se non fosse per la piccola finestra dalla quale soprattutto Lena guarda le barche che escono a pesca, tenere conto del tempo sarebbe impossibile. Anche così, tuttavia, non sono sicure di quanto ne sia trascorso.

Durante il giorno ricevono poco cibo e acqua e devono usare la cella per fare i propri bisogni. Lena piange tutta la notte, tutte le notti, e quando Lisa la abbraccia e le dice che in qualche maniera se la caveranno, che qualcuno del partito le verrà ad aiutare, non ci crede davvero, ma l’amica si tranquillizza e si addormenta.

Una notte le ragazze sentono dei passi lungo il corridoio, si preparano a subire l’ennesima umiliazione, deve essere il carceriere di guardia.

Dietro le sbarre, nella penombra appaiono due occhi gialli, il chiavistello gira e la pesante porta si apre. Gli occhi fissano a turno le tre ragazze, il giovane esita fuori dalla stanza, è a viso scoperto.

«Uscite, fuggite, è la vostra sola possibilità»

Le ragazze restano incredule, non si aspettavano questo, non sono sicure. Lisa pensa che forse è un trucco e che fuori ci siano le altre guardie. Lena, invece, dopo qualche attimo si alza in piedi e non se lo fa ripetere una seconda volta.

Fuori dall’edificio è buio pesto. La notte del Gambia, fuori dai centri abitati sa essere così buia. Vengono guidate al fuoristrada del soldato. Lisa si appoggia a lui, quando prova a camminare ha delle fitte lancinanti ad una gamba. Ha ricevuto troppo botte, troppa violenza, e non cammina da giorni.

«Andiamo in Senegal, vengo con voi fin lì, poi ci separiamo. Dopo quello che ho fatto devo fuggire anche io» dice il militare.

Mentre il mezzo si tuffa nell’oscurità, Lisa vede scomparire nel vermiglio dei fari posteriori il luogo in cui sono state prigioniere. Il luogo dove ha perduto la verginità.

«Quel ragazzo ci ha detto che avevamo l’età delle sue sorelle, e più ci guardava più non riusciva a tollerare il pensiero che ci potessero essere loro lì a subire quello che ci stavano facendo».

Il Gambia è una striscia di terra che nei punti più ampi raggiunge appena i 50 km di larghezza e che segue il corso del fiume omonimo per circa 500 km. Se si esclude la limitata linea costiera lungo l’oceano Atlantico è completamente circondato dal Senegal. Perciò da dove si trovano, da qualche parte fuori Serekunda, si dirigono verso sud e raggiungono in poco tempo il confine.

Arrivati in Senegal, attraverso il telefono del giovane avvertono il partito per chiedere aiuto. Il loro contatto dice che rientrare in Gambia sarebbe stata ovviamente una condanna e che avrebbe mandato loro dei soldi per fuggire più lontano perché anche fuori dal confine erano troppo vicine e correvano ancora il rischio di essere rintracciate dagli uomini di Jammeh. Lena chiama anche la mamma per accertarsi che suo figlio, che le aveva affidato, fosse al sicuro.

Il soldato le accompagna fino al camion che le avrebbe portate lontane da lì, le saluta, chiede scusa e se ne va.

Le tre giovani partono per un viaggio di almeno 3000 chilometri, fatto di brevi tappe in attesa del prossimo mezzo per la prossima destinazione. I familiari hanno consigliato loro di cercare di raggiungere l’Europa e chiedere asilo, perciò stanno cercando di arrivare in Libia.

Dopo aver attraversato il Senegal, il Mali e il Burkina Faso entrano in Niger e scendono dall’ennesimo camion malandato nella città di Agadez.

Le mura e le strade della città condividono tutte lo stesso tono di rosso marziano. Anche l’aria filtra la luce che diventa di colore arancione. La sabbia del Sahara la trovi ovunque. Tra i vestiti, tra i capelli. Tra le mura basse svetta il minareto di arenaria della moschea. Un tempo Agadez veniva considerata la porta del deserto, poi è diventata la “città dei migranti”, principale snodo di molte rotte migratorie per tutti coloro che dall’africa subsahariana, lungo l’antico tragitto carovaniero, vogliono raggiungere l’Europa attraverso la Libia. Dopo il 2015 però il governo nigerino ha promulgato una legge, fortemente sostenuta dai governi europei, che ha messo al bando il traffico di esseri umani, trasformando completamente la città la cui economia era sempre più fondata su questa attività (pensate che solo nel 2015 sono passate per Agadez circa 300 mila persone). Decine di passeur sono stati incarcerati e i mezzi sequestrati.

Passeur, si chiamano così gli uomini, di etnia tuareg o tebu che trasportano i migranti attraverso il mare di sabbia, lungo rotte invisibili che i loro popoli conoscono da generazioni. Ad Agadez ce ne sono moltissimi e dopo il 2015, dopo la legge contro il traffico di esseri umani, si sono spostati lungo piste meno conosciute, fuori dalle mappe, piste più pericolose e lunghe. I rischi di morire di sete, di restare bloccati per un guasto al veicolo sono aumentati. Capita anche che alcuni migranti vengano abbandonati a morire nel deserto. Una volta venivano usati camion in grado di trasportare anche 50 persone, ma ora i pick-up si sono dimostrati mezzi più adatti perché più rapidi e meno visibili. Il numero di persone per viaggio è diminuito e il costo è raddoppiato.

Le tre fuggitive si rivolgono a un passeur che indossa un caftano bianco. Pattuito il costo della traversata, pagano il dovuto e vengono accompagnate all’interno di un edificio basso dove incontrano i loro compagni di viaggio, provenienti da Ghana, Camerun e Nigeria.

Alcuni giorni più tardi, quando fuori è già buio, tutti i passeggeri vengono portati ad un pick-up, sul cui cassone vengono pigiati gli uni sugli altri. Su un altro pick-up ci sono i loro bagagli.

«Credo fossimo almeno venti persone» racconta Lisa.

Durante il secondo giorno di viaggio, sul cassone si sta stretti e il sole brucia. Il mezzo sobbalza sul terreno irregolare. Sono tutti appiccicati e si appoggiano gli uni sugli altri per cercare di non essere sbalzati fuori. Improvvisamente Lena avverte un rumore, come di qualcosa che si spezza, e il mezzo si imbizzarrisce e si solleva sulle ruote anteriori. Lei si accorge di essere sospesa in aria, in quei brevi istanti tutto le sembra rallentato eppure velocissimo e vede corpi volare, e il cielo diventare color ocra. Poi sente il suo viso colpire il suolo.

Quando rinviene intorno a lei ci sono tante persone doloranti. Alcuni sono sdraiati, altri seduti in ginocchio. Vede macchie di sangue e ascolta voci che non riesce a decifrare.

«Lisa, dove sei, Lisa» grida dopo qualche minuto.

E Lisa è lì stesa su un telo, immobile. Accanto a lei ci sono due uomini, anch’essi immobili. Una donna è china sui corpi esanimi. Viene dal Ghana, si sono conosciute prima della partenza da Agadez. Uno degli uomini a terra è il marito.

«Sono morti, i passeur ci hanno lasciati qui e sono andati a cercare aiuto, torneranno a prenderci, dobbiamo seppellirli» le dice un altro uomo.

Lena corre verso l’amica a terra, la tocca e comincia a urlare che non possono farlo perché gli altri due sono morti ma Lisa no.

«My sista, she’s alive» grida.

Mia sorella è viva, respira non lo vedete? Il respiro è così tenue da non essere quasi percepibile ma il corpo è sicuramente vivo, Lena non riesce a comprendere come gli altri non lo vedano. Si frappone quasi con ferocia, come una leonessa in difesa del proprio cucciolo, e diverse persone decidono che ha ragione, la ragazza è viva, così dopo una breve discussione, vengono sepolti gli altri due corpi mentre Lena copre quello di Lisa come può perché sta facendo buio e il deserto si sta raffreddando rapidamente.

Il secondo giorno accampati nel deserto non hanno quasi più acqua. Lena si è sistemata assieme all’amica Sara. Tra di loro giace Lisa ancora incosciente. Le due, come tutti gli altri, hanno bevuto quella mattina una tazza di acqua della piccola riserva lasciata loro dai passeur. Forse quel giorno ne avrebbero potuta bere un’altra ma le scorte sono ormai agli sgoccioli.

Ora che il caldo aumenta i più restano aggrappati alla speranza che qualcuno li verrà a recuperare ma un ragazzo in preda al panico continua a ripetere che ormai i loro soldi li avevano presi e che li avrebbero lasciati lì a morire di sete.

Verso sera Lisa emette un flebile suono, che Lena coglie immediatamente. La sua amica si sta svegliando. Lacrime spesse corrono lungo il suo viso, e abbraccia il corpo risvegliato della amica. Anche Sara si unisce nell’abbraccio.

Il terzo giorno all’orizzonte compare una nuvola di polvere e vengono raggiunti da un grosso camion. Gli uomini alla guida danno loro da bere, affermano di essere stati mandati lì dai passeur che hanno chiesto aiuto e che con loro avrebbero proseguito il viaggio.

Arrivati in Libia, trovano ad aspettarli, in una radura, degli uomini in divisa. Gli autisti, gli stessi che li avevano salvati dal deserto, vendono i passeggeri ai miliziani e, dopo tre giorni trascorsi in prigione, le tre ragazze vengono vendute ad un altro uomo.

«Siamo finite in un compound gestito da questo uomo. Ci trattava come degli animali, la notte dormivamo all’aperto nel giardino della sua casa. Ma durante il giorno era peggio perché ci costringeva a incontrare molti uomini con cui dovevamo avere rapporti e spesso ci forzava a fare sesso anche con lui» dice Lena.

«Ci ripeteva sempre che sarebbe andato avanti fino a quando non avesse recuperato i soldi spesi per comprarci» dice Lisa.

Passa altro tempo, forse qualche mese, e Lisa e Lena vengono portate via a strattoni da nuovi acquirenti. Ma Sara non viene venduta. Le tre si guardano, Sara è senza parole, gli occhi sono sgranati dal terrore mentre Lisa si dibatte e urla.

«No, no, noi siamo insieme, dovete prendere anche lei, no, no».

Ma nessuno la ascolta. Lisa e Lena non l’avrebbero più rivista.

«È difficile avere informazioni sicure dalla Libia, ma abbiamo saputo che è morta poco tempo dopo che ci siamo lasciate» ricorda Lena.

I nuovi padroni le rinchiudono in un edificio grigio di cemento e le costringono ancora a prostituirsi, senza permettere loro mai di uscire.

«Eravamo schiave sessuali, ogni giorno dovevamo incontrare molti uomini. Io non pensavo più a niente, quando venivano restavo lì, aspettavo che finissero» dice Lena.

Passa un mese e una sera l’edificio sembra meno controllato.

«Ci siamo avvicinate all’ingresso, non c’era nessuno quella notte a controllare o almeno non vedevamo nessuno ma piuttosto che restare lì valeva la pena provare a fuggire anche a costo di essere scoperte e uccise di botte. Quella notte siamo riuscite a fuggire, e con noi altre ragazze prigioniere»

«Ci siamo imbarcate con i soldi che siamo riuscite a farci mandare dal Gambia ma la barca era un rottame ha cominciato a imbarcare acqua».

È ancora buio quando l’imbarcazione comincia ad affondare, non si vede niente, si sentono solo il rumore dell’acqua e le grida, molti sono caduti in mare ma la barca non è ancora affondata e Lisa e Lena restano aggrappate al legno con tutte le loro forze. Fa freddo e il tempo sembra dilatarsi all’infinito.

«Credo che quel giorno diverse persone siano morte, non sapevamo nuotare. Per fortuna la guardia costiera libica ci ha salvato, in quel momento ero grata di essere stata tratta in salvo. Però siamo state portate in un’altra prigione e l’incubo è ricominciato» dice Lena.

«In prigione hanno cominciato a chiedere soldi per farci partire per l’Italia. Per fortuna siamo riuscite a farcene mandare altri dal Gambia, con l’aiuto del partito e della mia famiglia, tramite un gambiano che viveva in Libia da molto tempo. Così siamo riuscite a imbarcarci di nuovo.» ricorda Lisa.

Stavolta sul gommone ci sono 128 persone. Quando la costa della Libia è ormai scomparsa il motore smette di funzionare. Alcune ore più tardi una nave della Marina Italiana le raggiunge e le fa sbarcare in Sicilia.

Lisa e Lena sono finalmente al sicuro, dopo mesi di soprusi e prevaricazioni. Nonostante ciò sorridono sempre e non immaginereste mai la storia che portano dentro se le incontraste per strada. Se chiedete loro come sono riuscite a superare tutto quello che hanno vissuto la risposta univoca è

«Thanks to my sista» “grazie a mia sorella”.


Avete ascoltato la terza storia di Prima di vedere il mare, un podcast che parla di persone e migrazioni. Potete seguire gli aggiornamenti e gli approfondimenti anche attraverso le pagine instagram e facebook. Il prossimo episodio uscirà tra due settimane, a presto!


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