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  • Writer's pictureAlessandro Rinaldi

episodio 2 - bombe e colombe


👇👇 Leggi la trascrizione dell'episodio👇👇


È estate, lo si può stabilire senza dubbio dal frinire incessante delle cicale. Tutto intorno la città sembra sonnecchiare nel bollore del primo pomeriggio. Yasser è chino sulle ginocchia in un rettangolo ombreggiato. È nel giardino di un suo amico, in Italia. Ha dovuto portare le sue colombe qui perché non può tenerle nel centro di accoglienza di cui è ospite. Mentre le osserva nella voliera sembra rapito, sembra teletrasportato in un altro tempo. Forse a prima che le bombe cominciassero a cadere, prima che arrivasse la guerra nella sua città.

Dopo che le primavere arabe avevano già infiammato Egitto, Tunisia e Libia cominciarono le proteste contro il regime Assad in Siria, alimentate dal desiderio di riforme democratiche e di liberazione di prigionieri politici. Presto il malcontento sfociò in guerra civile a seguito delle dure repressioni del governo nei confronti dei manifestanti, e dalle fila dell’esercito regolare in molti disertarono e diedero vita all’Esercito siriano libero che divenne inizialmente il principale antagonista al quale si aggiunsero nel tempo, seguendo mutevoli equilibri, forze fondamentaliste come Al Nusra (la costola di Al Quaeda in Siria), Isis, forze curde e in seguito la crescente ingerenza di paesi esterni, in un conflitto che va avanti ormai da dieci anni.

Nel 2012 Aleppo fu il teatro di uno degli scontri più duri dell’intera guerra, dopo che la zona est era passata interamente sotto il controllo dei ribelli. Ed è proprio in questo luogo ed in questa data che ha inizio la storia di Yasser.

Il padre, Faaris, gestisce una carrozzeria per automobili nella zona est della città. Yasser ha quattordici anni e assieme al fratello maggiore, Asif, lavora con lui. L’attività è buona e riesce a mantenere la famiglia.

In quel quadrante della città, si è stabilito l’Esercito libero ed ha cacciato i rappresentanti del governo. Da allora le rappresaglie dell’esercito regolare si sono infittite, specialmente attraverso il ricorso a bombardamenti indiscriminati portati dall’aviazione.

Quella mattina in particolare Yasser è al lavoro nella piccola officina, quando un clacson li avvisa che il cliente che stavano aspettando è arrivato. Il padre ed il fratello escono fuori, Yasser può sentirli parlare con il proprietario del furgone. L’ispezione sembra prolungarsi. Improvvisamente un breve sibilo e poi tutto esplode. Un boato spaventoso risucchia l’aria e sconquassa l’edificio e scaraventa via lo sgabello sul quale siede Yasser. Il fumo scuro penetra furiosamente nella stanza, lui cade a terra e si copre la testa con le mani. Dopo un po’ si alza, stordito, brancola tra il fumo irrespirabile, mentre le orecchie gli fischiano, e raggiunge l’ingresso.

Tra la polvere in sospensione intravede l’inferno. Una bomba è caduta sulla strada e ha spazzato via veicoli e persone e sventrato gli edifici circostanti. Mano a mano che la polvere si deposita e il fumo si disperde quello che resta è spaventoso.

Tra le carcasse di metallo e cemento ci sono pezzi di uomini, dappertutto. Yasser si guarda in torno, e riconosce i vestiti del padre e del fratello sotto un cumulo di macerie. Qualcuno gli stringe una spalla, è suo zio Bashir che gli dice di restare indietro. Lui si ferma e vede accorrere uomini che cercano di tirare fuori i corpi. Qualcuno urla “è vivo è vivo, Dio è grande”, sembra provenire da molto lontano. Vede lo zio caricare sul cassone di un pick-up il corpo del padre e quello del fratello.

Yasser è troppo scosso e resta lì in piedi, pietrificato, fino a quando qualcuno lo scuote e gli chiede se vuole andare con loro e così salta su un altro pick-up che trasporta altri corpi e raggiunge l’ospedale.

Quando i due rientrano a casa è già buio. Appena Yasser apre la porta la madre sta già guardando verso di lui, e sul suo viso traspare evidente la tensione di chi ha già capito tutto e aspetta soltanto che qualcuno glielo confermi prima di lasciarsi sopraffare dal dolore.

Lo zio di Yasser le si avvicina e la fa allontanare dalle due figlie minori.

«C’è stata un’esplosione, una bomba, tuo marito è morto ma tuo figlio si salverà» dice l’uomo.

Quella sera stessa lo zio li porta via da casa fino all’alloggio della nonna, che si trova in un quartiere ancora risparmiato dai bombardamenti.

Poche settimane prima un’altra bomba dello stesso tipo aveva colpito un deposito di taxi vicino casa. L’intero edificio era saltato in aria ed erano morte undici persone.

L’esplosione all’officina è stata causata da una barrel-bomb, letteralmente un bomba barile. Questi ordigni si chiamano così perché sono costruiti riempiendo un barile metallico con esplosivi, bulloni, rottami metallici, sostanze chimiche o altro materiale incendiario. Secondo Amnesty International le barrel-bomb dal 2012 al 2020 avrebbero ucciso oltre 11000 civili in Siria. Per la loro letalità, la loro scarsa precisione e i devastanti danni che infliggono alle infrastrutture, sono considerate un’arma psicologica che costringe la popolazione a vivere costantemente nel terrore. Usate indiscriminatamente su obiettivi civili e militari per impedire che i ribelli potessero consolidare il loro controllo sulla città, queste bombe, che costano meno di 300 dollari, sono state impiegate in maniera massiccia permettendo al governo di bombardare di più riducendo i costi di una campagna aerea prolungata. I quartieri a est di Aleppo sono stati tra gli obiettivi più colpiti da queste armi. Il collasso degli edifici intorno ai punti di impatto ha contribuito significativamente a trasformare intere strade in rovine.

Dalla nonna materna la situazione è sicuramente migliore ma ormai nessun quartiere della zona è al sicuro. Nei cieli di Aleppo il rumore delle pale degli elicotteri è sempre più frequente, come quello delle raffiche di proiettili che prendono di mira le automobili e le abitazioni.

Un pomeriggio, mentre la famiglia è in casa, l’edificio viene scosso da un’esplosione che fa risuonare le mura come un monito di future catastrofi. Ogni giorno gli attacchi si fanno più frequenti e le esplosioni sempre più vicine. Quella notte la famiglia di Yasser prende una decisione. È il momento di lasciare la città prima che sia troppo tardi. Qualche giorno dopo, quando Asif esce dall’ospedale ed è di nuovo in grado di viaggiare, la famiglia parte. Asif si è ripreso ma l’esplosione gli ha portato via una gamba dal ginocchio in giù e gli ha riempito gli occhi di un orrore indicibile, parla pochissimo e corre a nascondersi al primo rumore che arriva dall’esterno.

A bordo del vecchio furgone dello zio, la famiglia composta dalla nonna, gli zii, Yasser, il fratello convalescente, le sorelline e la madre, lasciano la città e entrano a Raqqa in una abbagliante mattina d’estate.

«Mi ricordo che siamo arrivati d’estate perché c’era quel suo profumo e il sole era molto forte, pensavo che ci fossimo lasciati la guerra alle spalle ormai»

La città sulle sponde dell’Eufrate in quei mesi accoglieva moltissimi rifugiati dalle regioni siriane più colpite dal conflitto, i venti di guerra arrivavano fin lì ma non ancora i bombardamenti. In quei giorni la città veniva definita “L’hotel della rivoluzione” proprio per la massiccia affluenza di contestatori in fuga dalle zone più calde del paese. La situazione era piuttosto pacifica fino a quando, nel marzo del 2013 il fronte Al Nusra, assunse il completo controllo della città mettendo in fuga gli sparuti avamposti governativi.

«Per un anno ho vissuto in una scuola abbandonata, insieme alla mia famiglia. Non c’eravamo solo noi nella struttura, ma tante altre famiglie fuggite da Aleppo e da altre città. All’inizio non ci conoscevamo ma presto siamo diventati tutti amici»

Questo periodo finisce quando arrivano anche lì gli aerei e le bombe. Dopo che l’Esercito libero e le altre forze ribelli hanno preso il controllo della città, il governo comincia a colpirla con l’aviazione, per cercare di stanare i ribelli e recuperarne il controllo. Agli occhi della famiglia di Yasser in quei giorni Raqqa sembra essere diventata più pericolosa di Aleppo, così, quando la scuola viene colpita dalle prime raffiche di proiettile, decide di tornare nella propria città d’origine. Nel frattempo però, ad Aleppo la situazione è peggiorata.

Tornare ad Aleppo e vederla ridotta così strazia il cuore. La città che avevano lasciato era un gigante antico che cercava di sopravvivere alla violenza degli uomini, la città che ritrovano ora è un cimitero scomposto di scheletri di edifici e carcasse di automobili che invadono le strade.

«Sembrava una zona di mostri, era peggio di prima, le macchine erano carcasse bruciate, le case crollate, trovavi i morti per le strade»

Eppure a guardare bene, in mezzo a tutta quella desolazione, senza nessuna insegna, c’è un forno ancora aperto, si sente il buon odore del pane. E se guarda bene Yasser vede che dietro le finestre incerte delle case vivono ancora persone.

Nel periodo che segue vivono quasi sempre chiusi in casa, Halima, la mamma, ripete ogni giorno ai figli di non uscire e le poche volte che si allontanano lo fanno tutti insieme.

Soprattutto rimprovera Yasser:

«Devi smetterla di andare sul tetto, perché i cecchini ti scambiano per un soldato e ti sparano»

Ma lui ha le colombe, le aveva portate con sé fino a Raqqa ed ora le aveva rimesse nella voliera del terrazzo. In quel periodo sono il suo unico svago, passa molte ore al giorno con loro. L’edificio in cui vivono ha tre piani. Quando sale le scale per raggiungere il terrazzo Yasser vede i fori di proiettile sul muro e cerca sempre di non farci caso.


Dopo aver trascorso quasi due mesi da prigioniero in casa, Yasser raccoglie le proprie forze e torna all’officina in cui lavorava con il padre e con il fratello e scopre che è rimasta esattamente come il giorno dell’attacco. Osserva l’edificio che si regge in piedi incurante delle ferite e prende la decisione di liberarlo dalle macerie e ricominciare a lavorare. Così giorno dopo giorno libera l’ingresso, spazza la polvere, ripara quello che può e pensa.

Non c’è ormai più nessuna carrozzeria da riparare ma c’è ancora bisogno di carburante e visto che non ci sono più stazioni di rifornimento nella zona, perché quella più vicina era stata fatta saltare in aria nello stesso periodo dell’attacco in cui era morto il padre, Yasser si mette a vendere benzina, aiutato da un amico di famiglia. Alla fine si impara ad andare avanti anche in tempi come quelli.

Yasser si alza presto e va ogni mattina all’officina, e seppure gli affari non stanno andando bene è sempre meglio di niente. Intanto aspetta che il fratello stia meglio e possano ricominciare a lavorare insieme.

Qualche tempo dopo Asif è in grado di tornare finalmente al lavoro. C’è così poco da fare che Yasser potrebbe gestire tutto da solo, ma la sua compagnia è bella, il tempo passa più velocemente e nessuno dei due si sente solo. Ma se il moncherino di Asif acquista ogni giorno un aspetto più sano, le ferite nascoste nella sua mente sono ancora vive. Ogni volta che sente il rombo di un aereo troppo vicino fugge a casa e resta lì per tutto il giorno. Quindi, siccome ci sono sempre aerei o elicotteri o bombe ci sono giorni interi in cui non si fa vivo. Yasser non si arrabbia mai con il fratello. Anche lui ha paura.

Poi di nuovo quel maledetto sibilo e l’esplosione, poco lontano dall’edificio. Due barrel-bomb sono cadute in mezzo ad un gruppo di case radendole completamente al suolo. Quella sera, prima di tornare a casa, Yasser chiude la porta dell’officina per l’ultima volta. Non ci sarebbe più tornato. Mentre va a casa vede allineati lungo la strada quei cadaveri dilaniati dalle bombe e capisce che continuare a resistere non ha più senso, la guerra sembra destinata a durare per sempre, forse fino a quando non sarebbe rimasto più nessuno a combattere e nessuno da uccidere. Quella sera assieme alla mamma e agli zii viene presa la decisione. Da tempo si sente dire che la Turchia ha allestito degli enormi campi per accogliere i siriani in fuga, e le notizie che arrivano da chi ce l’ha già fatta a valicare il confine riempiono di speranza il cuore di Yasser.

«Vendi le tue colombe, o liberale, non le puoi più tenere, questa volta dobbiamo lasciare il paese e chissà se torneremo» gli dice la madre.

Di nuovo su quel furgone la famiglia riparte, questa volta determinata a raggiungere il confine turco, come centinaia di migliaia di altri siriani. Mano a mano che si avvicinano al confine si mescolano, tra le nuvole di polvere, a dozzine di altri mezzi, stipati di persone, e a migliaia di uomini, donne e bambini a piedi.

Raggiunta la frontiera Yasser, il fratello e le sorelle riescono a superare i posti di blocco con facilità.

«Mia zia era l’unica di noi ad avere anche il passaporto turco, così lei è potuta entrare e noi giovani ci siamo mescolati agli altri ragazzi e bambini che lungo il confine aiutavano chi entrava a portare i bagagli e siamo riusciti ad entrare. Invece il resto della mia famiglia si è separato da noi e ha superato il confine di nascosto in un’altra zona»

Oltre il confine, dopo qualche ora, il gruppo si riunisce e un parente della zia, un siriano, li fa salire su camion che li porta via da lì, mescolandosi nel traffico.

«Siamo andati a vivere a Kahramanmaras, il parente di mia zia ci ha lasciati lì, indicandoci dei contatti, persone che erano fuggite da Aleppo come noi, ma quando siamo arrivati nessuno ci ha potuto aiutare, non avevano più un soldo, perciò siamo andati a vivere in un piccolo quartiere fatto di baracche».

Dal 2013, con l’acuirsi della guerra, la disponibilità di posti nei campi di rifugiati, uno dei quali proprio a Kahramanmaras, è rimasta sostanzialmente la stessa. Da allora il governo turco non ha sopperito alla necessità crescente di posti, nemmeno prevedendo altre forme accoglienza. Perciò già quell’anno c’erano 50000 richieste di accoglienza in esubero e secondo l’UNHCR al 2017 dei 3,2 milioni di siriani rifugiatisi in Turchia oltre il 90% viveva al di fuori di questi campi, in aree urbane o periurbane. Questi uomini, donne e bambini sono diventati gli outsider, i reietti, che vivono in condizioni di miseria in insediamenti nati abusivamente e fatti di tuguri malsani. Qui, molto spesso, pur di mangiare, soprattutto i minori, sono esposti a violenze, abusi e sfruttamenti di ogni tipo.

«A differenza di Aleppo, qui quando andavi a dormire non pensavi che non ti saresti più svegliato, ma la Turchia non ci voleva, ti sentivi un estraneo, ti trattavano come una persona che non valeva niente. Non avevi più paura delle bombe ma delle persone».

Durante il periodo trascorso nella baraccopoli, la famiglia di Yasser esaurisce rapidamente gran parte dei risparmi e trovare un impiego è molto difficile. Asif non è in grado di lavorare, le sorelle sono piccole e solo Yasser e lo zio ogni tanto riescono, per qualche giorno, a trovare lavoro come muratori, ma quelle misere paghe non possono sostenere la famiglia.

Così Yasser, dopo alcuni mesi, decide che deve ripartire verso l’Europa dove tutti gli dicono che potrà trovare un lavoro migliore e guadagnare abbastanza da sostenere la mamma, le sorelle e il fratello, sollevandoli finalmente da quella vita di stenti.

«Loro sono ancora là, ogni tanto li sento, voglio farli uscire dalla Turchia, mio fratello ha bisogno di fare un’altra operazione, voglio che la mia famiglia viva meglio».

Yasser, segue le indicazioni che è facile trovare tra gli altri rifugiati e entra in contatto con dei trafficanti di esseri umani che, al costo di tutti i risparmi che la famiglia aveva conservato, lo conducono attraverso la Turchia, fino a superare il confine greco, i Balcani e lo lasciano, finalmente, in Italia.

Sono passati alcuni anni da quel giorno. Nel caldo agostano, Yasser è ancora pieno di brutti ricordi.

«Dopo quello che ho visto, la vita ormai non ha più nessun gusto. Un giorno tornerò a casa, mi hanno detto che il terzo piano, quello dove tenevo le colombe è stato distrutto. Però loro le avevo liberate. Ma ora non è possibile tornare c’è la guerra e chi torna deve schierarsi da una parte o dall’altra, ma siamo tutti siriani, perché dobbiamo ammazzarci?»


Avete ascoltato la seconda storia di Prima di vedere il mare, un podcast che parla di persone e migrazioni. Il prossimo episodio uscirà tra due settimane, a presto!


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